LEGISLAZIONE GIURISPRUDENZA
RESTITUZIONE DELLE SOMME SE LA MOGLIE LE HA PERCEPITE SENZA AVERNE DIRITTO
Con l’Ordinanza n. 31635 del 14.11.2023 la Corte di Cassazione ha confermato il principio in virtù del quale, qualora si accerti nel corso del giudizio (sia in primo che in secondo grado) l’insussistenza ab origine dei presupposti, in capo all’avente diritto, per il versamento dell’assegno di mantenimento separativo o divorzile, ancorché riconosciuto in sede presidenziale o dal Giudice istruttore in sede di conferma o modifica, opera la regola generale della condictio indebiti, con la conseguenza della piena ripetibilità delle somme versate a tale titolo e ciò a prescindere dal fatto che il richiedente abbia agito con male fede o colpa grave.
Gli Ermellini, quindi, hanno confermato come nel caso in cui si possa escludere in radice e "ab origine" (non per fatti sopravvenuti) il presupposto del diritto per la mancanza di uno "stato di bisogno" del soggetto richiedente (inteso, nell'accezione più propria dell'assegno di mantenimento o di divorzio, come mancanza di redditi adeguati), non vi sono ragioni per escludere l'obbligo di restituzione delle somme indebitamente percepite, ai sensi dell'art. 2033 c.c. (con conseguente piena ripetibilità).
Avv. Fabrizio Iovino
obbligo di mantenimento e risarcimento del danno endofamiliare- Avv. Anna Lanza
A seguito di una relazione durata circa un anno, una donna rimane incinta e lo comunica al compagno, che non si dimostra interessato a diventare padre, neppure dopo aver avuto notizia della nascita di una bambina il 18.6.2009, ed averla incontrata nel 2016, pur inviando somme a titolo di mantenimento per circa un anno per un totale di 12.000 Euro, ma poi disinteressandosene sia economicamente che moralmente.
La madre, quindi, porta in giudizio il padre presso il Tribunale di Bari, chiedendo il riconoscimento della paternità a mezzo di Test del DNA, risultato positivo, la refusione pro quota di quanto speso per mantenere la bambina sin dalla nascita quantificandolo in 800 euro mensili, oltre al risarcimento del danno morale subito dalla bambina per il disinteresse del padre parametrato alla Tabella del Tribunale di Roma in caso di morte di un genitore.
La Corte, dopo aver emesso sentenza parziale che riconosce la paternità, sancisce che a carico del genitore la cui paternità (o maternità) sia stata riconosciuta successivamente alla nascita, sussiste un’obbligazione legale, retrodatata al momento della nascita, al mantenimento, all’istruzione, all’educazione ed all’assistenza morale della prole, sia che questa sia nata nel matrimonio che naturale (cfr tra le altre, Cass. 26205/2013 – 5652/2012 - 2328/2006 – 7386/2003)
Siffatto obbligo è sancito dagli art. 147 - 148 e 316 c.c., nonché dagli articoli 2 e 30 della Costituzione e dalle norme internazionali recepite nel nostro ordinamento.
Il Tribunale di Bari riconosce, nel caso di specie “il pieno diritto della minore (omissis) ad essere mantenuta da entrambi i genitori sin dal momento della sua nascita”.
Quindi, il genitore che abbia provveduto integralmente da solo al mantenimento, può agire giudizialmente per ricevere dall’altro genitore la propria quota di mantenimento ex art. 1299 c.c. “regolante i rapporti tra i condebitori”.
Sotto il profilo della quantificazione, secondo la Corte, ”stante la oggettiva impossibilità di addivenire ad una precisa quantificazione delle spese sostenute (…) dall’attrice a titolo di mantenimento”, ed alla luce della natura indennitaria dell’obbligazione, l’importo dovuto viene stabilito in via equitativa, “tenendo conto delle molteplici e variabili esigenze del figlio – soddisfatte e da soddisfare – legate allo sviluppo e alla formazione di studio e professionale, restando comunque indiscutibili le spese di sostentamento, sin dalla nascita, in base ad elementari canoni di comune esperienza” ( con richiamo a Cass. Sez I, sent. 16916/22)
In ogni caso il Giudice “è tenuto a valorizzare l’entità dei redditi propri di ciascun genitore, così come emersi, anche in via presuntiva” (Cfr Cass 16657/2014; 14417/2016): nel caso di specie, la parte attrice non ha dato alcuna prova sia di quanto speso per crescere la figlia e sia del proprio reddito, a differenza di parte convenuta che ha dimostrato una progressiva riduzione delle proprie entrate, e questo diverso comportamento processuale inciderà sulla domanda di rimborso così come formulata dall’attrice, che viene ridotta a 200 euro mensili.
Quanto al risarcimento del danno cd. endofamiliare subito dalla minore per l’assenza fisica e morale del padre, il Tribunale richiama l’orientamento della Suprema Corte (Cass. 34950/2022) che ne riconosce la natura di illecito civile per violazione degli artt. 2 e 30 Cost., e degli artt. 147 e 148 c.c. (Cass. 15148/22) legittimante un’azione ex art. 2059 c.c., esercitabile anche nell’ambito dell’azione di riconoscimento giudiziale di paternità al fine di ottenere il risarcimento del danno subito dalla minore.
Presupposto di siffatta responsabilità è costituito dalla consapevolezza del concepimento da parte del genitore, che non si perfeziona con l’esito della prova del DNA, ma sussiste anche a seguito dei rapporti intrattenuti con il partner da cui discende la conoscenza della procreazione (Cass 26205/2013) punto sul quale il convenuto si è sottratto all’interrogatorio, ma confermato dai testi.
Quanto al danno da “integrale perdita del rapporto parentale” (…) che deve essere risarcita per il fatto in se della lesione” (Cass. 16657/2014), quale fatto generatore di responsabilità aquiliana, lo stesso può essere provato “sulla base di soli elementi presuntivi”, e liquidato in via equitativa ai sensi del combinato disposto degli artt. 1226, 20156 e 2059 c.c., secondo i principi non arbitrari di proporzionalità e congruità. Nel caso di specie il danno viene quantificato in 28mila euro.
Il Tribunale conclude disponendo l’affido della figlia 13enne alla madre in via esclusiva, ma non super esclusiva come pur richiesto, n virtù della non totale assenza del padre, prevedendo che quest’ultimo inizi ad incontrare la figlia tramite l’ausilio del Servizi Sociali di zona, e che versi un mantenimento mensile pari a 300 euro oltre il 50% delle spese straordinarie, prevedendo che l’assegno univo spetti integralmente alla madre che potrà farne richiesta direttamente all’INPS.
Avv. Anna Lanza
domanda congiunta di separazione e divorzio. Cass.16.10.23 Avv.Simona Bevilacqua
Con l’ordinanza del 16 ottobre 2023 n. 28727, in relazione al rinvio pregiudiziale disposto dal Tribunale di Treviso con ordinanza del 31 maggio 2023, la Suprema Corte di Cassazione ha dato il via libera al ricorso congiunto per separazione e divorzio con un unico atto, anche nell’ambito delle procedure consensuali.
In particolare la Cassazione si è pronunciata in tema di ammissibilità del ricorso dei coniugi proposto con domanda congiunta e cumulata di separazione di scioglimento o cessazione degli effetti civili del matrimonio.
Come è noto, la riforma Cartabia ha introdotto la facoltà prevista dall’articolo 473 bis n.49 c.p.c. di proporre una domanda cumulata di separazione e divorzio ma, secondo le prime interpretazioni dei Tribunali, tale facoltà sembrava essere limitata ai soli casi contenziosi.
Non a caso, in questi mesi ci siamo trovati di fronte ad una serie di pronunce discordanti nei diversi Tribunali d’Italia, tanto da rendere necessario un chiarimento sul punto attraverso un intervento normativo.
Con provvedimento dettagliato, in ventisette pagine di motivazioni, la Corte di Cassazione ha aperto la strada alla possibilità per i coniugi proporre una “domanda congiunta e cumulata di separazione e di scioglimento o cessazione degli effetti civili del matrimonio”, laddove siano già decorsi in termini di legge per richiedere il divorzio e previo passaggio in giudicato della sentenza che pronuncia la separazione personale, offrendo in questo modo un risparmio di tempo e costi per i coniugi.
Questo, secondo gli Ermellini, in ragione del fatto che l’accordo “riveste natura meramente ricognitiva e non negoziale, con riferimento ai presupposti necessari per lo scioglimento del vincolo coniugale, essendo soggetto alla verifica del Tribunale che, in materia, ha pieni poteri decisionali”, non configurandosi un’ipotesi nel senso di un “divorzio consensuale” analogamente ad una separazione consensuale.
Il Tribunale, quindi, non è condizionato al consenso dei due coniugi, limitandosi a verificare la sussistenza dei presupposti per la pronuncia costitutiva dello scioglimento o della cessazione degli effetti civili del matrimonio.
L’accordo assume, invece, natura negoziale con riferimento ai figli della coppia ed ai rapporti di natura economica, intervenendo il Tribunale su tali accordi soltanto se questi risultano contrari a delle norme inderogabili.
La Cassazione, quindi, ha chiarito i molti dubbi interpretativi sul tema, di modo che la normativa vigente potrà essere applicata in modo univoco e senza disparità di trattamento su tutto il territorio nazionale.
Avv. Simona Bevilacqua
La Corte EDU - maternità surrogata, sent. 31.07.2023 Avv. Irene della Rocca
Ricorso Nr 47196/2021, Prima sezione Corte Cedu - accordo di gestazione e rifiuto delle autorità italiane di riconoscere il rapporto giuridico esistente tra le parti, stabilito dal certificato di nascita - violazione dell’art 8 CEDU del 31.08.2023.
La prima sezione della Corte EDU ha affrontato il delicato tema della maternità surrogata e dei diritti del minore nato dalla pratica suddetta. Il padre biologico e la madre intenzionale di una minore nata in Ucraina, all’esito di un accordo di gestazione per altri, hanno presentato ricorso alla Corte avverso il rifiuto delle autorità italiane di riconoscere il rapporto giuridico esistente tra le parti scaturente dal certificato di nascita. La corte adita ha ravvisato una violazione dell’art 8 CEDU (relativamente al profilo della vita privata della minore) solo per la mancata instaurazione del rapporto nei confronti del padre biologico, non ravvisando violazione alcuna nei confronti della madre intenzionale.
Secondo la Corte il mancato riconoscimento di un rapporto giuridico tra un minore nato da un contratto di maternità surrogata effettuato all’estero e il genitore intenzionale ha un effetto sicuramente negativo su molteplici aspetti della vita personale e giuridicamente tutelata del minore stesso, in quanto il medesimo sarà posto in condizione tale da avere sempre incertezza giuridica sulla propria identità all’interno della società Nel caso di specie la bambina di quattro anni era stata considerata apolide fin dalla nascita, essendo priva di genitori legalmente riconosciuti. A fronte di tale condizione i giudici nazionali non erano stati in grado di adottare una decisione rapida per tutelare l'interesse della ricorrente a far stabilire la sua genitorialità biologica e di conseguenza, nonostante il margine di discrezionalità concesso allo Stato, le autorità italiane non avevano adempiuto al loro obbligo positivo di garantire il diritto della minore al rispetto della sua vita privata ai sensi della Convenzione.
In riferimento invece al rapporto esistente con la madre intenzionale, la Corte non ha ravvisato alcuna violazione dell’art 8 CEDU, poiché, pur non consentendo la norma interna la registrazione dei dati del certificato di nascita il genitore intenzionale avrebbe potuto utilizzare gli altri strumenti messi a disposizione dal diritto italiano, come ad esempio l’adozione, pur in un caso così precipuo, così come statuito anche recentemente dalle sezioni unite della Corte di Cassazione e dalla Corte Costituzionale, la quale, nella sentenza 33 del 2021 ha statuito che se da un lato la gestazione per altri è vietata (art. 12 legge 40/2004) perché «offende in modo intollerabile la dignità della donna e mina nel profondo le relazioni umane» i nati a seguito del ricorso a tali tecniche (che sono lecite in altri Paesi) siano titolari di diritti, tra cui, certamente, quello relativo alla conservazione di legami con coloro che nella realtà fattuale hanno svolto una funzione genitoriale. Proprio per tale ragione, in caso di minori nati all’estero con la tecnica della gestazione per altri, non si ha diritto alla trascrizione dell’atto di nascita così come formatosi all’estero, e con l’indicazione dunque di entrambi i genitori ma è necessario un accertamento concreto del fatto che nel caso specifico si sia creato un legame effettivo, di tipo genitoriale, tra gli adulti e il minore. L’istituto giuridico che in quest’ottica potrà garantire al meglio i diritti del fanciullo, senza sacrificare e comprimere gli altri, sarà allora quello dell’adozione in casi speciali di cui all’art. 44, comma 1, lettera d), della legge 4 maggio 1983, n. 184: accertato in concreto il legame già creatosi tra minore e genitore intenzionale, spetterà al giudice stabilire che sussiste quel legame di fatto - tale da acquisire anche valore giuridico - tra i due soggetti coinvolti. Proprio la medesima posizione assunta dalla Corte Edu, la quale infatti ha respinto il ricorso dell madre intenzionale che ben avrebbe potuto utilizzare lo strumento individuato dalla Corte Costituzionale per adottare la bambina, con tutte le cautele del caso (cfr.altresì Corte di Cassazione, nr. 22179 del 13.7.2022 e SSUU nr. 38162 del 30.12.2022 l’adozione in casi particolari, ai sensi dell’art. 44, comma 1, lett. d), della l. n. 184 del 1983, allo stato dell’evoluzione dell’ordinamento, rappresenta lo strumento che consente di dare riconoscimento giuridico, con il conseguimento dello status di figlio, al legame di fatto con il partner del genitore genetico che ha condiviso il disegno procreativo e ha concorso nel prendersi cura del bambino sin dal momento della nascita). Il vulnus in tali casi è il consenso del genitore biologico, che in alcuni casi non vuole – o non può - darlo. In questi casi, ci ricorda la Corte Costituzionale, è necessario che i minori siano tutelati: la scelta tra la diversa tipologia di tutele possibili spetta però in prima battuta al legislatore (Corte cost., sent. n. 33 del 2021). Ma secondo la CEDU lo Stato Italiano deve adottare un percorso più rapido e snello per accertare la genitorialità biologica e consentire alla minore di godere del rispetto del proprio diritto alla vita privata.
Avv. Irene della Rocca
iscrizione del figlio ad una scuola privata-opposizione del padre Avv. Previti
Cass. 14564/2023 del 25.5.2023 – ancora sulle spese straordinarie: l’opposizione del padre alla frequentazione di una scuola privata da parte del figlio deve essere validamente motivata, non essendo sufficiente la propria manifestazione di dissenso – avv. Carla Previti
Con l’ordinanza in esame la Corte di Cassazione ha avuto modo di tornare nuovamente sull’annosa questione concernente la ripartizione delle spese straordinarie tra i genitori, affrontando, in particolare, la legittimità o meno dell’opposizione da parte del genitore non collocatario all’iscrizione del figlio ad una scuola privata. Nella fattispecie, infatti, la madre, genitore collocatario della minore, dopo avere autonomamente iscritto la figlia ad un esclusivo istituto privato di Roma, senza preventivamente consultare il padre e nonostante il successivo dissenso manifestato da quest’ultimo, si era rivolta al giudice per ottenere il rimborso di tale spesa straordinaria ed il relativo ricorso era stato rigettato dalle Corti di merito, sulla base dell’ intervenuto accertamento della mancata concertazione preventiva e del manifestato dissenso. La madre ha, quindi, proposto ricorso per Cassazione avverso la sentenza n. 4763/2021, con la quale, la Corte d’Appello di Roma, in riforma della sentenza n. 2959/2018, emessa dal Tribunale di Latina, aveva parzialmente accolto l’opposizione a decreto ingiuntivo spiegata dal padre in ordine alla pretesa creditoria concernente il rimborso delle spese straordinarie sostenute in favore della figlia, tra le quali vi erano quelle relative all’iscrizione della minore all’istituto privato, ritenute non dovute in virtù dell’accertato preventivo opposto dissenso.
Tra i quattro motivi proposti, la Corte di Cassazione ha ritenuto meritevole di accoglimento quello concernente la violazione e falsa applicazione dell’art. 155 comma IV, n. 2 e 337 ter comma IV, c.c., non essendosi la sentenza impugnata conformata al principio di diritto già espresso dalla S.C., secondo cui non è configurabile a carico del coniuge collocatario un obbligo di informazione e concertazione preventiva con l’altro in ordine alla determinazione delle spese straordinarie, sussistendo, comunque, a carico di quest’ultimo, un obbligo di rimborso. Ciò in quanto il genitore collocatario non è tenuto a concordare preventivamente con l’altro genitore e ad informarlo in ordine alle scelte inerenti le spese straordinarie, in quanto “l’art. 155, comma 3, c.c. (oggi art. 337-ter c.c.) consente a ciascuno dei coniugi di intervenire nelle determinazioni concernenti i figli, soltanto in relazione ‘alle decisioni di maggiore interesse’, mentre, al di fuori di tali casi, il genitore non collocatario è tenuto al rimborso delle spese straordinarie, salvo che non abbia tempestivamente addotto validi motivi di dissenso (Cass. n. 15240/2018)”. Sul punto, la Corte ha, poi richiamato il principio in base al quale le spese scolastiche e mediche poste a carico di entrambi i genitori, pur non rientrando nell’ordinario, qualora siano certe e prevedibili nel loro ripetersi, consentirebbero al genitore che le ha effettuate anche di agire in via esecutiva per il rimborso delle stesse.
La Corte ha, inoltre, ritenuto fondato un ulteriore motivo, concernente l’omessa ed insufficiente motivazione della sentenza impugnata, in quanto la Corte d’Appello non ha valutato in alcun modo le ragioni del dissenso manifestato dal padre, in ordine all’iscrizione della figlia presso la scuola privata, limitandosi a verificare la sussistenza di tale dissenso, laddove, invece, avrebbe dovuto “verificare la rispondenza delle spese all’interesse del minore, commisurando l’entità della spesa rispetto all’utilità e alla sua sostenibilità in rapporto alle condizioni economiche dei genitori (Cass. n. 16175/2015; Cass. N. 5059/2021)”.
In sostanza, la Corte ha affermato il principio che in tema di spese straordinarie, le due linee direttrici sono rappresentate dall’interesse del minore rispetto alla spesa e la compatibilità della stessa con la sua effettiva utilità e sostenibilità economica da parte dei genitori. Pertanto, nel rispetto di tali parametri, il mancato preventivo accordo, non comporta l’irripetibilità delle spese effettuate nell’interesse del minore, che siano compatibili con il tenore di vita della famiglia; né è sufficiente la manifestazione di dissenso da parte del genitore non collocatario, se non adeguatamente e specificatamente motivato.
Alla luce di tale orientamento, si evince come da un lato, il genitore collocatario goda comprensibilmente di ampia autonomia nella scelta delle spese – anche ingenti - da affrontare nell’interesse del minore, al fine di evitare che vengano frapposti inutili ostacoli, essendo tali spese ripetibili anche in mancanza di preventivo accordo e di manifesto dissenso; dall’altro, viene data al genitore non collocatario la possibilità di sottoporre al giudice un’opposizione fondata su motivi concernenti la mancanza di utilità per il minore, ma, soprattutto, su motivi di natura economica, inerenti l’oggettiva insostenibilità della spesa – peraltro già effettuata - rispetto alle proprie possibilità. Le posizioni di entrambi i genitori in evidente e persistente contrasto tra loro, restano, dunque, sottoposte alla valutazione del giudice di merito, nei tempi ordinari di giustizia, con tutte le conseguenze che ne derivano proprio in termini di interesse per il minore. Dal momento che il genitore collocatario, pur non avendo un obbligo di concertazione preventiva, deve, in ogni caso, fare i conti con l’eventuale impossibilità oggettiva per l’altro di affrontare l’esborso che gli viene imposto ex post, ci si domanda se non appaia più opportuno tornare alla necessità di raggiungere un accordo preventivo rispetto alle spese straordinarie, prima ancora di effettuarle.
Avv. Carla Previti