LEGISLAZIONE GIURISPRUDENZA
Reato ex art 570 bis c.p. e adempimento parziale Avv. Maria Cecilia Morandini
La Suprema Corte di Cassazione è stata nuovamente interessata dal tema della violazione degli obblighi di assistenza familiare in caso di separazione o divorzio ex art 570 bis c.p.
La vicenda trae origine dalla condanna in appello di un uomo che aveva autonomamente ridotto l’importo del quantum stabilito per i figli minori in sede di separazione giudiziale dal Tribunale, corrispondendo solo un versamento parziale della somma stabilita.
Il ricorrente fondava la richiesta di revisione della condanna in appello sul fatto che lo stesso avesse parzialmente adempiuto al versamento con una somma ridotta rispetto a quanto stabilito dal Giudicante e che, comunque, avesse integrato elargizioni economiche brevi manu alla madre dei figli, continuando ad occuparsi degli stessi nei periodi di sua competenza. L’obbligato, inoltre, sosteneva difficoltà economiche legate a un lungo periodo di disoccupazione, situazione di fatto che, in quanto involontaria, era posta a giustificazione dei mancati versamenti.
Rilevato quanto sopra l’uomo sosteneva che la propria condotta non configurasse il reato di cui all’art. 570 bis c.c., il quale si consuma ogni qualvolta il soggetto non adempia agli obblighi di natura economica scaturenti dallo scioglimento, cessazione e nullità del matrimonio, a prescindere dalle condizioni economiche dei soggetti beneficiari.
Di tutt’altro avviso è stata la posizione della sesta sezione penale della Cassazione. Infatti, con la sentenza n. 43032/2022, la Corte ha rigettato il motivo con cui l'imputato ha tentato di giustificare il proprio inadempimento in quanto lo stesso non ha dimostrato di trovarsi in uno stato di impossibilità assoluta di adempiere.
Sull’attuazione del pagamento parziale dell’assegno stabilito in sede di separazione, gli Ermellini sottolineano che la Corte di Appello avesse correttamente richiamato il principio più volte confermato in sede di legittimità, per il quale il reato di violazione degli obblighi di assistenza familiare si realizza anche quando l'obbligo posto a carico del soggetto viene adempiuto solo in parte. Infatti, non è riconosciuto al soggetto obbligato il potere di ridurre autonomamente quanto dovuto a moglie e figli laddove il relativo quantum sia stato statuito nella sentenza di separazione decisa dal Giudice.
La riduzione automatica del mantenimento per i figli è dunque configurabile come reato ai sensi dell’art. 570 bis c.p.
Avv. Maria Cecilia Morandini
Maltrattamenti in famiglia (Cass. n. 44263/2022) Avv. Simona Bevilacqua
Sussiste il reato di #maltrattamentiinfamiglia anche se nel caso in cui la vittima, pur non più convivente con l’autore del reato, continui ad avere con quest’ultimo un legame conseguente alla presenza di figli.
Con una recente pronuncia, la #CortediCassazione ha confermato l’orientamento già chiarito in diverse occasioni, statuendo come, anche qualora sia venuta meno la convivenza, non solo sia configurabile il reato, ma questo sia anche aggravato dalla presenza dei figli.
Con la pronuncia in esame gli Ermellini, nel respingere il tentativo della difesa di inquadrare la condotta nell’alveo del più lieve reato di stalking, hanno chiarito come, nei casi di cessazione della convivenza, sia in ogni caso configurabile il reato ex art. 572 c.p. di maltrattamenti in famiglia, e non quello ex art. 612 bis (atti persecutori), quando le parti siano legate da un vincolo familiare, connotato anche alla presenza di figli e quindi, all’esercizio della responsabilità genitoriale.
Secondo i Giudici di legittimità, quindi, un rapporto sentimentale non può definirsi concluso qualora la coppia sia unita dalla presenza di figli.
Pertanto, anche successivamente all’interruzione dell’unione, gli ex partner, rimanendo genitori, sono chiamati a relazionarsi in ordine alle esigenze quotidiane dei figli, nell’ottica di garantirgli una crescita serena.
Sent. n. 44263/2022, III Sez. Penale
Avv. Simona Bevilacqua
CONGEDI PARENTALI - di Avv. Marco Meliti
Il Decreto legislativo 148/2015 ha reso definitive tutte le novità contenute nel precedente Decreto 80/2015 in tema di congedi parentali, ovvero la possibilità per i genitori – dopo aver usufruito della maternità obbligatoria – di astenersi dal lavoro per potere stare accanto al proprio figlio nei primi anni di età.
Con l’entrata in vigore del Jobs Act, il congedo parentale potrà essere richiesto da ciascun genitore nei primi 12 anni di vita del bambino (in luogo del limite degli otto anni del previgente regime) per un periodo massimo di 6 mesi, continuativi o frazionati.
Per le lavoratrici autonome il congedo parentale spetta per un massimo di 3 mesi entro il primo anno di vita del bambino.
Nel caso in cui sia la madre che il padre – anche contemporaneamente – intendano usufruire dei congedi parentali, il periodo complessivo a disposizione dei due genitori non potrà eccedere comunque i 10 mesi (elevabili ad 11 mesi qualora il padre fruisca di congedo parentale per un periodo non inferiore a 3 mesi).
Qualora sia presente un solo genitore, a questo compete un periodo continuativo o frazionato non superiore a dieci mesi.
In ipotesi di minori con gravi disabilità, la legge prevede in favore della madre o del padre un prolungamento del congedo parentale fino al compimento del dodicesimo anno di vita del bambino, per un periodo massimo di tre anni, a patto che lo stesso non sia ricoverato a tempo pieno in una struttura sanitaria (a meno che sia stata, comunque, richiesta dai sanitari la presenza del genitore). Per tutto il periodo dei tre anni, i genitori avranno diritto ad un trattamento economico pari al 30% della retribuzione.
Al fine di evitare disparità e favorire l’inserimento del minore nelle famiglie, è prevista l’estensione delle tutele predisposte per i genitori naturali anche ai genitori adottivi.
In caso di adozioni internazionali, è prevista la possibilità per il padre di richiedere un congedo non retribuito (anche qualora la madre non sia lavoratrice), così da consentire ad entrambi i genitori di poter partecipare pienamente a tutte le fasi della procedura di adozione, anche quelle che si svolgono all’estero.
Il congedo parentale spetta al genitore richiedente anche nel caso che l’altro genitore non ne abbia diritto, in quanto disoccupato o perché appartenente ad una categoria diversa da quella dei lavoratori subordinati.
La riforma ha introdotto, inoltre, un’importante novità relativa alla possibilità per i genitori di optare per la fruizione di tale congedo su base oraria, anche in mancanza di una specifica disciplina dettata dalla contrattazione collettiva di qualsiasi livello. In tale ultima ipotesi l’assenza dal lavoro è consentita in misura pari alla metà dell’orario medio giornaliero.
Entro i primi 6 anni di vita del bambino (limite elevato rispetto ai precedenti tre anni) il congedo parentale dà diritto ad una indennità pari al 30% della retribuzione.
Dal compimento dei 6 anni e fino ai 12 anni del bambino, il congedo non è retribuito, ad eccezione dei lavoratori con redditi particolarmente bassi (pari a 2,5 volte l’importo del trattamento minimo di pensione – per l’anno 2015 Euro 16.327,68), per i quali l’indennità del 30% è prevista fino all’ottavo anno del bambino.
Il termine di preavviso per la comunicazione al datore di lavoro della modalità di fruizione del congedo parentale è stato ridotto a cinque giorni (non più quindici), che diventano due nel caso si opti per il congedo parentale ad ore.
La richiesta di accesso al congedo parentale deve essere presentata in via telematica presso il sito INPS.
Avv. Marco Meliti
Presidente dell’Associazione Italiana di Diritto e Psicologia della Famiglia