LEGISLAZIONE GIURISPRUDENZA
Cass.11724/2023 - la ripartizione delle spese straordinarie - Avv. Simona Grasso
La Suprema Corte, con l’ordinanza n. 11724/2023, pubblicata il 04.05.2023, è tornata a pronunciarsi in tema di mantenimento dei figli e ripartizione delle spese “straordinarie” tra i genitori.
Questione che rappresenta uno degli argomenti più discussi in sede contenziosa nei diversi ambiti in cui si concretizza la crisi familiare (separazione, divorzio od anche la fine di una convivenza tra genitori non coniugati).
In particolare, la Corte di Cassazione nel caso trattato nell’ordinanza in commento, ha esaminato il ricorso promosso da un padre che aveva impugnato, in sede di legittimità, la decisione assunta dalla Corte di Appello di Brescia di porre a suo carico il versamento di un assegno di € 800,00 mensili a titolo di contributo ordinario al mantenimento della figlia minore nata fuori dal matrimonio, oltre al 60% per le spese straordinarie.
Nella parte motiva del predetto provvedimento, in primo luogo è stato ribadito il principio di proporzionalità su cui deve essere quantificato il contributo dovuto dal genitore non collocatario per il figlio minore. Com’è noto, infatti, l’art. 337-ter, comma 4, c.c., prevede che ciascuno dei genitori deve provvedere al mantenimento dei figli (principio valido anche per i figli nati fuori dal matrimonio) in misura proporzionale al proprio reddito, tenuto conto delle attuali esigenze del figlio, del tenore di vita goduto dal figlio in costanza di convivenza con entrambi i genitori, dei tempi di permanenza presso ciascun genitore, delle risorse economiche di entrambi i genitori, nonché della valenza economica dei compiti domestici e di cura svolti da ciascun genitore.
La Corte di Cassazione ha ribadito, poi, come l’aumento delle esigenze economiche di un figlio sia strettamente legato alla sua crescita, non necessitando di alcuna specifica dimostrazione, né potendosi ritenere che le relative crescenti esigenze di cura, educazione, istruzione e assistenza possano essere coperte ed assorbite integralmente con l’assunzione delle c.d. “spese straordinarie”, essendo necessario, invece, provvedere ad un adeguamento dell’assegno di mantenimento.
Infine, è stato ribadito che la ripartizione delle spese straordinarie tra i genitori - che come affermato in un’altra recente pronuncia della Suprema Corte va motivata separatamente rispetto all'assegno di mantenimento (cfr. Cass. ord. n. 6933/2023 dell’08.03.203) – non deve essere necessariamente fissata al 50% per ciascuno, ma in misura proporzionale al reddito di ognuno di essi tenendo conto delle risorse di entrambi e della valenza economica dei compiti domestici di cura assunti (cfr. Cass. n. 34710/2021; Cass. n. 2723/2016).
Gli Ermellini, quindi, valorizzando proprio tale ultimo aspetto - laddove nel caso di specie era stato accertato che “…la bambina sta sempre con la madre (anche per i risvolti penali della vicenda che hanno investito il padre) che l’accudisce e provvede, a monte, ai suoi bisogni…” - ha affermato l’insussistenza in capo al genitore affidatario della prole di un onere di informazione e concertazione preventiva con l’altro in ordine alla determinazione delle spese c.d. “straordinarie”, fermo restando che nel caso di mancata concertazione preventiva e di rifiuto di provvedere al rimborso della quota di spettanza da parte del coniuge che non le ha effettuate, spetta al giudice di merito verificare la rispondenza delle spese stesse all’interesse del minore, commisurando l’entità della spesa rispetto all’utilità e alla sua sostenibilità in rapporto alle condizioni economiche dei genitori (Cass. n. 5059/2021; Cass. 16175/2015).
A parere di chi scrive, la portata maggiormente rilevante di un simile principio è quella di riequilibrare correttamente le necessità di quel genitore che, in via esclusiva o comunque prevalente, si trova a dover assumere ogni decisione nell’interesse dei figli minori, rispetto all’altro che potrebbe ostacolarla ponendo un aprioristico rifiuto, lamentando la mancanza di preventiva concertazione.
Tuttavia, non si ritiene che da tale arresto possa desumersi una generalizzata autonomia decisionale da parte del genitore collocatario della prole, dovendo comunque, in caso di opposizione, essere demandata ex post alla valutazione del giudice di merito, l’effettivo diritto di chi ha anticipato le spese “straordinarie” per i figli, in assenza di preventiva concertazione con l’altro, alla loro ripetizione. Valutazione che dovrà essere svolta tenendo conto, in ogni caso, delle indicazioni enunciate dalla Suprema Corte, senza tralasciare, come nel caso sopra esaminato, le peculiarità di ogni singola situazione controversa.
Avv. Simona Grasso
Cass. 1115/2023 assegno divorzile - Avv. Ludovica De Falco
La Corte di Cassazione con la recentissima sentenza n. 1115/2023 pubblicata in data 27.4.2023 è tornata ad affrontare la questione relativa alla possibilità di ottenere la revoca e/o la riduzione dell’assegno divorzile qualora la parte obbligata deduca come nuova e sopraggiunta circostanza la costituzione di un nuovo nucleo familiare. Nel caso di specie, la Corte d'Appello dell'Aquila aveva respinto il reclamo proposto da un ex marito avverso un decreto del Tribunale di Pescara che aveva ritenuto infondato il ricorso dallo stesso proposto ex L. n. 898 del 1970, art. 9 e volto ad ottenere nei confronti la revoca o comunque la riduzione dell’assegno divorzile riconosciuto alla ex moglie. In particolare la Corte territoriale aveva rilevato, da un lato, mancata dimostrazione da parte del reclamante dei fatti sopravvenuti e dall’altro riteneva, invece, che fosse "verosimile" che la ex moglie, disoccupata, avesse "incontrato difficoltà non facilmente superabili nel reinserirsi nella professione di psicologa". In ogni caso, il Collegio rilevava che il reclamante godesse di redditi sufficienti a far fronte al sostentamento della famiglia atteso che lo stesso non era tenuto a provvedere al mantenimento dei figli della seconda moglie, nati da precedente relazione della medesima, "rispetto ai quali non ha vincoli giuridici".
Avverso tale decreto l’ex marito proponeva ricorso per Cassazione deducendo che la Corte d'Appello aveva omesso di considerare adeguatamente le circostanze sopravvenute ed allegate, in ordine al nuovo nucleo familiare dallo stesso costituito con la seconda moglie e con i due figli di quest’ultima, nati da una precedente relazione sentimentale e riconosciuti solo dalla stessa (uno minorenne ed altra maggiorenne ma non autosufficiente economicamente), con conseguente sensibile riduzione del reddito personale.
Con la decisione in esame, la Suprema Corte - ritenendo il ricorso fondato per omessa motivazione - sottolinea al contempo come la decisione impugnata non è esente da “critiche motivazionali” in merito alla valutazione delle sopravvenute esigenze di mantenimento (allegate e dimostrate dal ricorrente) del nuovo nucleo familiare con la seconda moglie ed i di lei figli, ai fini della richiesta, quantomeno, di riduzione dell'assegno divorzile verso l'ex coniuge.
Sotto tale aspetto gli Ermellini definiscono “apodittica” l’affermazione della Corte d’appello secondo cui il ricorrente non sarebbe stato tenuto in assenza di "vincoli giuridici", a mantenere i figli della nuova moglie, senza valutare le eventuali esigenze di mantenimento di quest'ultima e senza considerare le regole di solidarietà vigenti, ai sensi degli artt. 143 e ss. c.c., in ambito familiare, anche nei confronti dei soggetti non legati da vincoli di sangue con l'obbligato, se gli altri soggetti tenuti al "sostegno alimentare" (in senso Europeo) non hanno la possibilità di farlo.
A sostegno della tesi che gli obblighi gravanti su entrambi i coniugi verso la famiglia, ai sensi dell'art. 143 c.c., comprendono anche i figli nati dal precedente matrimonio di uno dei coniugi stessi, ove ne sia affidatario, la decisione in esame richiama la sentenza n. 181 del 1988 con cui la Corte Costituzionale affermava che gli obblighi che incombono su entrambi i coniugi verso la famiglia ai sensi dell'art. 143 del vigente c.c. non possono non comprendere anche i figli nati dal precedente matrimonio di un coniuge (sciolto per divorzio), ove questi ne sia affidatario e sempreché l'altro genitore non provveda.
In definitiva, in sede di revisione dell'assegno divorzile ex L .898 del 1970, art. 9 e di verifica delle circostanze sopravvenute che ne giustificano la revoca o la riduzione, deve essere vagliata anche la costituzione della nuova famiglia da parte dell'obbligato in rapporto alle eventuali esigenze di mantenimento del nuovo coniuge, considerando che gli obblighi gravanti su entrambi i coniugi verso la famiglia, ai sensi dell'art. 143 c.c., comprendono anche i figli nati dal precedente matrimonio di uno dei coniugi stessi, ove ne sia affidatario. Il tutto sempre nell'ottica del necessario bilanciamento, rispetto al soggetto obbligato al versamento dell'assegno divorzile, tra i nuovi doveri di solidarietà coniugale nascenti dalla costituzione del nuovo nucleo familiare ed i pregressi doveri di solidarietà post-coniugale verso l'ex coniuge.
Avv. Ludovica De Falco
Cass. n.9281/2023 - Avv. Morandini gli accordi transattivi tra coniugi
L’accordo transattivo relativo alle attribuzioni patrimoniali, concluso tra le parti ai margini di un giudizio di separazione o divorzio ha natura negoziale (Cass. Civ. Sez. I n. 9281 del 04/04/2023).
La Suprema Corte di Cassazione ha respinto il ricorso di una donna che aveva chiesto, dopo la separazione consensuale, gli utili della farmacia che era in comunione fra i coniugi.
La vicenda trae infatti origine dalla richiesta dell’ex moglie avente ad oggetto l'accertamento e la dichiarazione, ai sensi degli artt. 177, lett. c, e 178 cod. civ., del proprio diritto di credito derivante dalla comunione de residuo relativa all'azienda commerciale esercente attività di farmacia.
Nell’ambito dell’accordo raggiunto in sede di separazione consensuale, omologato dal Tribunale, la donna aveva rinunciato ad ogni futura pretesa, anche patrimoniale, nei confronti dell'ex coniuge.
La Corte ha sottolineato che, come anche correttamente motivato nella sentenza appellata, l'accordo di separazione personale consensuale costituisce un atto essenzialmente negoziale e, come tale, espressione della capacità dei coniugi di autodeterminare i propri interessi.
Nell’accordo di separazione consensuale i coniugi sono dunque liberi di regolare anche tutti i pregressi rapporti, diversi da quelli strettamente personali conseguenti al matrimonio, tramite accordi aventi effetto conciliativo, transattivo e financo dismissivo di diritti, purché disponibili, tra i quali, senza dubbio, sono da ricomprendere i diritti di credito.
Per gli Ermellini, confermando quanto già deciso nei due gradi precedenti, l'accordo tra i coniugi in sede di separazione, oltre al contenuto essenziale, che non può mai derogare i diritti e doveri insorti per effetto del matrimonio e che deve essere pertanto conforme alle previsioni di cui all'art. 160 cod. civ., ha anche un contenuto eventuale, riguardante pattuizioni di natura economica e patrimoniale; queste ultime, rispetto alle prime (assolutamente indispensabili, affinché l'atto che le riporta superi il vaglio della relativa omologa da parte del Tribunale), trovano nella separazione non già la rispettiva causa, bensì l'occasione per essere regolamentate.
Conseguente il rigetto del ricorso formulato dalla ricorrente posto che, nel caso in esame, non può considerarsi mera clausola di stile quella sottoscritta dai coniugi in sede di accordo consensuale. Essa aveva infatti un concreto contenuto volitivo ben determinato, riferibile al negozio posto in essere dalle parti e vincolante per le stesse.
Avv. Maria Cecilia Morandini
il cane affidato a chi dimostra un legame con l'animale- Avv. Simona Bevilacqua
Con la recente ordinanza n. 8459/2023, la Corte di Cassazione ha affermato il principio secondo il quale l'affido del cane o del catto, dopo la fine della relazione, spetta alla parte che dimostri, oltre alla proprietà dell’animale, anche l’esistenza di uno stabile legame affettivo.
In tal modo gli Ermellini sono tornati ad affrontare un tema che, sempre più di frequente, trova spazio nelle aule dei nostri Tribunali; quello dell’affidamento dell’animale domestico in caso di separazione.
Nell’ordinamento italiano non esiste alcuna legge che sancisce l’affidamento del cane, in caso di separazione e divorzio.
La decisione, infatti, deve essere assunta dalle Parti, scegliendo a chi deve essere affidato l’animale domestico.
Tale mancanza normativa, non consente di predisporre dei criteri precisi per l’affidamento.
Peraltro, non costituisce una regola il fatto che l’animale venga affidato all’intestatario del microchip.
Certamente, la soluzione che può aiutare a scongiurare il rischio di una futura discussione sul punto, è quella di redigere una scrittura privata, concordando le regole per l’affidamento.
Del pari, la decisione sull’affidamento dell’animale domestico ben potrebbe essere inserita all’interno di una clausola nell’accordo di separazione.
Nel caso in esame, terminata la convivenza more uxorio, la coppia ha avviato una vera e propria guerra giudiziale, volta ad ottenere l’affidamento dell’animale a quattro zampe.
La donna, infatti, ha richiesto l’accertamento della qualità di comproprietaria dell’animale, acquistato durante la seppur breve convivenza, il conseguente scioglimento della comunione e l’affidamento del cane, oltre al risarcimento dei danni, emotivi e patrimoniali. Al contrario, l’uomo ha negato la comproprietà dell’animale, eccependo la carenza di legittimazione attiva dell'attrice.
Secondo gli Ermellini, la Corte di Appello ha legittimamente escluso l'ammissione del mezzo di prova richiesto dalla ricorrente (l’interrogatorio formale) in ragione della non indispensabilità dello stesso, ritenendo già sufficientemente provata la proprietà dell'animale in capo all'ex compagno, alla luce della copiosa documentazione prodotta, con la quale è stato dimostrato non solo l'acquisto dell'animale e della sua assicurazione, ma anche i documenti attestanti la proprietà e le spese veterinarie compiute in suo favore, laddove i documenti forniti dalla donna consistevano in mere fotografie del cane, insufficienti a smentire quanto dimostrato dall’ex compagno.
Pertanto, la Cassazione, preso atto del fatto che la donna non è stata in grado di dimostrare di aver instaurato un solido rapporto affettivo con il cane “tale da far presumere che le possa essere riconosciuto un diritto di visita nei confronti dell'animale", le ha negato tale diritto.
Una decisione, questa, che, oltre a far riflettere i tanti amanti degli animali, dai quali non ci si vorrebbe mai allontanare, in merito alle decisioni da assumere nel caso di separazione, conferma altresì come la scelta di prendersi cura di un cane o di un gatto, potrebbe poi, non trovare la giusta tutela una volta che la famiglia si disgrega.
Avv. Simona Bevilacqua
Cass. n.6503 del 3.03.2023: l'ascolto del minore. Avv. Anna Lanza
Con la recente Ordinanza del 3 marzo 2023 n. 6503, la Suprema Corte di Cassazione ha preso posizione in ordine alla necessità di rinnovare l’audizione del minore in appello, ove si sia mutata la collocazione e/o l’affidamento dello stesso. La fattispecie prende le mosse dal comportamento ostruzionistico tenuto dalla madre di un minore di 9 anni, rispetto alla figura paterna, dalla quale cercava di allontanare il figlio, tanto da indurre la C.A. di Firenze a disporre l’affidamento esclusivo del minore al padre con collocazione presso lo stesso, valutato come più equilibrato e responsabile, con incontri protetti madre-figlio.
La madre ricorreva in Cassazione, rilevando, nel primo di 5 punti di ricorso, una violazione degli artt. 32 e 111 della Costituzione, degli artt. 3 e6 della Convenzione Europea di Strasburgo sui Diritti del fanciullo, degli artt. 6 e 14 della CEDU, degli artt. 155sexties, 366bis, 337bis, 337ter, 337octies C.C., e dell’art. 1 comma 2 della Legge 206/2021 per aver la C.A. disposto l’allontanamento del minore dall’ambiente familiare abituale, senza aver ascoltato la volontà dello stesso, in quanto capace di discernimento, come si evince dalla circostanza che lo stesso, al momento del ricorso dell’età di 9 anni, era già stato ascoltato dal Tribunale due anni prima, all’età di 7 anni.
La Suprema Corte dichiara fondato ed accoglie il primo motivo di ricorso, in quanto la parte appellante, nel giudizio di gravame aveva più volte richiesto l’audizione del minore con l’ausilio di una C.T.U., affinchè si tenesse conto anche della volontà dello stesso in ordine al suo collocamento presso il padre o presso la madre. La C.A., in contrasto con il principio disposto in Cass. 1474/2021, aveva rigettato l’istanza senza darne esplicita motivazione, limitandosi a dichiarare sufficiente il materiale istruttorio in atti.
Così facendo la C.A., come rilevato dalla Suprema Corte, aveva agito in contrasto con la giurisprudenza di legittimità (ex multis 9691/2022, 12018/2019) secondo la quale ”in tema di affidamento dei figli minori, l’ascolto del minore infradodicenne capace di discernimento costituisce adempimento previsto a pena di nullità, a tutela dei principi del contraddittorio e del giusto processo, finalizzato a raccogliere le sue opinioni e a valutare i suoi bisogni, dovendosi ritenere del tutto irrilevante che il minore sia stato sentito in altri precedenti procedimenti pur riguardanti l’affidamento”.
Secondo la Corte, quindi, il minore andava sentito, sia per acquisire il suo volere che per analizzare e valutare le ragioni del suo rifiuto verso il padre ed i condizionamenti subiti in questo ambito.
Accolto il primo motivo di ricorso, assorbente rispetto agli altri, la Corte dispone il rinvio del giudizio alla C.A. in diversa composizione, perché si attenga al seguente principio: “nei giudizi relativi alla modifica delle statuizioni sull’affidamento o sul collocamento del minore, tenuto conto anche di fattori quali la modifica della residenza, ove lo stesso sia prossimo alla soglia legale del discernimento e sia stata formulata istanza di rinnovo della audizione, il giudice di secondo grado deve procedere all’ascolto o fornire puntuale giustificazione argomentativa del rigetto dell’istanza stessa.”
Avv. Anna Lanza